La separazione e le cosiddette separazioni civili

Dott.ssa Fatima Uccellini – Psicologa dell’età evolutiva Psicodiagnosta – Mediatore Familiare
e Didatta S.I.Me.F.

L’espressione “separazione civile”, spesso utilizzata per indicare una separazione non conflittuale, che mantiene i rapporti tra ex-partner ad un livello accettabile, anche e soprattutto in funzione della tranquillità dei figli, ha suscitato in me sempre una sorta di distonia, di perplessità latente.
Infatti, lungi dal pensare che non possano esistere ex-coniugi che hanno mantenuto un rapporto sereno anche dopo la separazione, in questi casi, generalmente decisa insieme alla luce di accordi veramente condivisi, credo che il mito della “separazione civile”, come fine ultimo del processo psicologico di separazione dal partner, può essere fonte, talvolta, di equivoci e fraintendimenti. Se, infatti, l’idea di “rapporti civili” equivale, di fatto, solo formalmente, ad un’assenza di conflittualità esplicita, agita e manifesta, nella vicenda separativa, una sorta di “congelamento” dei sentimenti e delle emozioni legate all’evento separativo, non credo che questo debba essere un obiettivo da perseguire.
All’interno del ciclo vitale della famiglia, la separazione di coppia costituisce quello che viene definito un “evento paranormativo”, cioè un fatto inatteso, che non rientra nel normale corso della vita familiare e che, come tale, può essere portatore di momenti di crisi, disorientamento, sofferenza: tuttavia, con il passare del tempo e, una volta elaborato il dolore ed il senso di fallimento per la fine del legame di coppia, emerge sempre di più anche una sana esigenza di riorganizzazione della propria vita e di quella dei figli.
Le ragioni che portano alla separazione sono molteplici e specifiche di una situazione, ma spesso, si è visto che dipendono fortemente anche dalla rottura del cosiddetto “contratto di coppia”, una sorta di patto tra i due partner, quasi sempre implicito e basato su aspettative più o meno realistiche e proiezioni più o meno fantastiche sull’altro, che le due persone stipulano inconsciamente al momento di mettersi insieme, quando si sono innamorati. Nelle dinamiche di separazione, la delusione delle aspettative sul comportamento dell’altro e il rendersi conto che l’altro non è come lo si immaginava, sono alla base della conflittualità generata proprio dalla rabbia e dalla disillusione.

Nella pratica professionale, si osserva spesso che, all’interno delle diverse dinamiche di coppia in merito alla separazione, la persona che mette in crisi il rapporto di coppia manifesta in modo più o meno evidente un vissuto di intollerabilità alla situazione di coppia legato, soprattutto, all’immagine di sé che l’altro gli rimanda (“non mi piace più come mi vedo, attraverso la relazione con te”), piuttosto che un senso di intollerabilità nei confronti del partner stesso. Appare evidente che, chi subisce la decisione di separarsi, si trova in una situazione di maggiore sofferenza, per una sorta di disparità emotiva connessa al vissuto verso il legame di coppia e ad un timing diverso in merito al vissuto di intollerabilità.
È innegabile, perciò, che la separazione sia intimamente connessa ad un grande sentimento di perdita, soprattutto da parte di chi subisce la decisione, che rende la situazione separativa permeata di dolore e di sofferenza: senso di perdita del partner ma anche, e soprattutto direi, senso di perdita della propria identità, cioè di quella parte di sé legata all’altro, che l’altro ha strappato via e ha portato con sé per sempre, andandosene. Da qui, hanno origine quei sentimenti di rabbia, di risentimento, di rivendicazione e, spesso, di ripicca e di vendetta, che troppe volte, purtroppo, caratterizzano le vicende separative.
L’aspra conflittualità che, come spesso accade, continua anche per anni, successivamente ad una separazione legale anche di tipo consensuale, trascinando dentro meccanismi assurdi e distruttivi tutti i componenti della famiglia, figli, nonni, parenti ed amici, nessuno escluso, deve necessariamente spingere i professionisti del settore ad una seria riflessione.
Nella mia esperienza professionale in veste di Mediatore Familiare, infatti, ho potuto verificare sul campo l’inefficacia e l’inutilità di accordi frettolosi, standardizzati, scarsamente personalizzati e poco funzionali alla situazione specifica di quella coppia e di quei figli, conclusi in sede consensuale tra gli ex-partner.
Infatti, accade spesso, che la coppia genitoriale, spinta dai rispettivi avvocati, ma anche consigliata da amici e parenti o, semplicemente per motivazioni proprie legate all’idea di poter soffrire meno arrivando ad un accordo in tempi ridotti e senza eccessi di conflittualità, evitando discussioni e confronti faticosi e dolorosi, si è trovata ad accettare una separazione “civile”, solo in apparenza serena e meno problematica.

Non può essere casuale, infatti, che una larga parte delle coppie genitoriali che si rivolgono al Mediatore Familiare, spesso dopo anni di conflitti irrisolti, hanno alle spalle proprio separazioni consensuali i cui accordi, evidentemente insoddisfacenti per una o per entrambe le parti in causa, non hanno tenuto nel tempo provocando litigi e rivendicazioni senza fine.
Offrendo un ampio spazio di ascolto ai due ex-partner, si scopre, infatti, che la sofferenza legata alla storia della coppia, ai tradimenti reali o presunti, alle omissioni dell’uno nei confronti dell’altro, alle aspettative deluse, sono ancora tutte là come se la rottura del legame risalisse a ieri, intatte anche dopo anni, sentimenti e vissuti che l’iter legale di separazione non ha dato modo di elaborare emotivamente, non favorendo, di fatto, quell’auspicabile riorganizzazione costruttiva del futuro di sè e dei propri figli.
Ed è qui che la Mediazione Familiare interviene caratterizzandosi, da un lato, proprio come un processo favorente l’elaborazione di quegli aspetti emotivi ancora attivi che provocano la conflittualità distruttiva, dall’altro come quel contesto elettivo che offre la possibilità di un recupero, anche se parziale, della propria storia di coppia passata e, conseguentemente, di quelle parti di sè che appartengono, di fatto, a quel passato e che vanno riconosciute e recuperate, limitando conseguentemente anche il senso di perdita e di fallimento.

All’interno del contesto mediativo, la conflittualità che la coppia esprime, lungi dall’essere sedata o bloccata, viene riconosciuta e utilizzata costruttivamente dal mediatore che, insieme ai due ex-partner ne ricerca il senso ed il significato, costruendo, incontro dopo incontro la possibilità per uno scambio dialettico efficace ed un confronto, spesso, emotivamente e necessariamente molto intenso, finalizzati a rendere sempre più chiare e sempre più esplicite le richieste reciproche in relazione agli accordi.