Sintesi dell’intervento della dott.ssa Fatima Uccellini, Psicologa dell’età evolutiva, Psicodiagnosta, Mediatore Familiare S.I.Me.F, Didatta S.I.Me.F., nell’ambito del ciclo di seminari organizzati da Genitoriche:
“Genitori e figli: legami da svelare. Quali strumenti a disposizione dei genitori?”
Si definisce preadolescenza la fascia di età che va tra i 9 e i 12 anni, sebbene, come per tutte le tappe evolutive, siano possibili diverse oscillazioni. È l’età di un mutamento che coinvolge il corpo, l’identità, le esperienze, la sfera emotiva.
Come ogni fase dell’età evolutiva, la preadolescenza ha dei compiti di sviluppo ben definiti e che per il bambino comportano impegno, stress e fatica: innanzitutto, le relazioni con i coetanei (del proprio e, in misura crescente, anche dell’altro sesso), l’acquisizione del ruolo sociale maschile e femminile (che va a rafforzare e connotare sempre più l’identità del ragazzo), l’accettazione dello sviluppo del proprio corpo, il conseguimento di una certa autonomia emotiva dai genitori e, più in generale, dagli adulti, la scoperta dei valori e la formazione di una coscienza etica a guida del proprio comportamento.
I cambiamenti riguardano sia la sfera emotiva sia quella cognitiva.
Per quanto riguarda l’ambito cognitivo, il ragazzo inizia a sviluppare il pensiero ipotetico-deduttivo, divenendo sempre più in grado di rappresentarsi le emozioni e gli stati d’animo dell’altro, cosa che in precedenza non era possibile. Un bambino di 5–7 anni, con una struttura mentale prevalentemente operatorio-concreta, infatti, non è in grado di formulare ipotesi o elaborare astrazioni, mentre il preadolescente può compiere generalizzazioni, elaborare concetti astratti, prevedere le conseguenze di un’azione, immaginare le emozioni di chi ha intorno. In questa fase, il ragazzo comincia a sviluppare l’empatia verso gli altri, ma contemporaneamente, anche uno sguardo più critico verso ciò che ha intorno, genitori e adulti compresi, ed una crescente curiosità verso l’ambiente extrafamiliare, vissuto come fonte di stimoli nuovi ed esperienze interessanti.
Per quanto riguarda l’ambito emotivo, la preadolescenza è un’età di sospensione, caratterizzata dal distacco dal mondo idealizzato, fiabesco, dell’infanzia: il ragazzo si rende conto gradualmente che i genitori non sono quegli esseri onnipotenti percepiti dal bambino e, con l’introduzione del pensiero critico, inizia un percorso di disillusione, attraverso il quale le figure genitoriali vengono spogliate dell’infallibilità attribuitagli durante l’infanzia.
Il preadolescente mette in discussione la coppia genitoriale che, spesso, appare disorientata ed addolorata di fronte a questo nuovo atteggiamento del figlio, sperimentando, a sua volta, una sorta di disillusione nei confronti del figlio preadolescente, di quel bambino dolce ed amorevole di cui, ora, sembra essere sparita ogni traccia. Spesso, il genitore tende ad interpretare il nuovo comportamento del figlio come un vero e proprio attacco personale nei suoi confronti, non riuscendo a considerare il nuovo atteggiamento del preadolescente come un processo naturale di distacco, in qualche maniera fisiologico perché denota uno sforzo di crescita e di sana individualizzazione della persona. Tale processo, infatti, in situazioni di normale sviluppo psico-affettivo, si conclude in un’età successiva con la formazione di una personalità con caratteristiche e connotazioni proprie, contenenti al loro interno elementi genitoriali (principi e sistemi di regole e valori) reinterpretati e fatti propri in modo assolutamente personale.
Tuttavia, quando la disillusione del genitore si trasferisce al figlio e alla relazione, si trasforma in un vero senso di delusione verso quel ragazzo che, in quanto diverso da prima, non è più affettivamente gratificante ed, in definitiva, non più corrispondente alle aspettative genitoriali. Tale dinamica può instaurare un meccanismo perverso e negativo, laddove il genitore si chiude di fronte alle nuove modalità relazionali del figlio, rifiutandole ed irrigidendosi, entrando nella sfida e nella provocazione, arrivando, come “estrema ratio”, persino all’“espulsione”, in senso simbolico, del figlio dalla coppia stessa.
La difficoltà principale dei genitori del preadolescente, dunque, sembra quella di accettare che il figlio esca dalla loro sfera di influenza diretta, che si vada perdendo la relazione così com’era in precedenza, che il figlio cominci a prendere le distanze da loro attraverso scelte autonome e personali, talvolta non condivisibili.
Tutto questo, naturalmente, non avviene improvvisamente o automaticamente ma attraverso fasi di allontanamento e crescita caratterizzate dalla richiesta di una sempre maggiore autonomia, di atteggiamenti spesso connotati da critica e dal conflitto, alternati a movimenti di riavvicinamento e di regressione caratterizzati dalla ricerca di rituali di accudimento e di vicinanza fisica ai genitori.
La coppia genitoriale, pur sperimentando un certo naturale disorientamento di fronte ai cambiamenti del figlio, può favorire le nuove esperienze e tollerare gli atteggiamenti provocatori e sfidanti tipici del preadolescente nella certezza di rappresentare per il figlio ancora quel riferimento interno sicuro di sempre.
In fondo, la situazione preadolescenziale, per certi versi, ricorda talvolta il processo di acquisizione di nuove autonomie tipica del lattante quando, cominciando a camminare e ad esplorare un ambiente nuovo, si allontana dalla madre per poi tornare di nuovo da lei nella ricerca di rifornimento affettivo necessario a permettergli, successivamente, una nuova esplorazione lontano da lei.
È il sistema dell’attaccamento sicuro: quando il legame genitoriale è solido e rappresenta una fonte reale di sicurezza consente al bambino di esplorare il mondo circostante senza timori e remore, ma permette a lui anche di esprimere tutte le istanze interiori senza paura di perdere il legame stesso.
In preadolescenza si può osservare un fenomeno analogo: il ragazzo sarà in grado di esplorare ambiti extrafamiliari sperimentando se stesso, i propri limiti e le proprie capacità in autonomia, serenità e curiosità solo se la coppia genitoriale gli permetterà di agire nella quotidianità, in modo costruttivo e senza sensi di colpa, il meccanismo di allontanamento e di riavvicinamento a loro.
Sicuramente, la preadolescenza non rappresenta una fase di facile gestione, e spesso ci si sente incerti in relazione al proprio ruolo genitoriale e alla capacità di contenimento del figlio. L’eccesso di libertà e autonomia, infatti, non sembra rappresentare, così come la durezza e l’autoritarismo, una strategia educativa vincente, in considerazione del fatto che il preadolescente va, comunque, contenuto ed orientato e non è sempre facile capire quando e come si deve intervenire.
La chiave risolutoria, probabilmente, è rappresentata da un atteggiamento genitoriale fondato sulla fermezza e sull’elasticità. Fermezza che non va confusa con rigidità o autoritarismo: essere genitori fermi significa dare regole condivise, chiare e coerenti (possibilmente in accordo tra i genitori) manifestando anche una certa elasticità nell’applicazione in considerazione delle istanze che il ragazzo porta e che, spesso, comportano una rinegoziazione delle regole precedenti, ormai superate perché riferite ad un’epoca passata, l’infanzia.
L’elasticità non implica, di per sé, una tendenza al lassismo, lasciando fare al figlio qualsiasi cosa, ma significa concedere piccole deroghe alle regole ed essere disponibili ad accogliere — seppure in parte, ma soprattutto ad ascoltare — le richieste del preadolescente, riconoscendolo nelle istanze che esprime. In tal modo, le figure genitoriali continueranno a rappresentare per il preadolescente un riferimento importante, sicuro e stabile, i cui insegnamenti e sistemi valoriali, costruiti insieme fin dalla nascita, guideranno le sue scelte ed i suoi comportamenti. In questo senso, il ruolo genitoriale non è in discussione.
Rendersi, dunque, disponibili ad ascoltare ed accogliere le istanze del figlio, dimostrando di tollerare e di riuscire a resistere a questa sua continua richiesta, talvolta rabbiosa, di autonomia e crescita, diventa molto importante e rimanda al preadolescente un’immagine positiva di sé, non autopercependosi né “cattivo” né “distruttivo” nei confronti dei genitori stessi.
Riconoscendo il “figlio arrabbiato”, perciò, così sarà meno difficile entrare in relazione con lui: attraverso l’accoglienza ed il riconoscimento del suo stato d’animo, sarà poi possibile intervenire, all’interno del rapporto, sulle modalità di espressione delle istanze interne e sul contenimento degli inevitabili eccessi, in una relazione costruttiva che si incardina su due piani: uno emotivo, di comprensione e disponibilità all’ascolto, ed uno pragmatico, riguardante l’espressione, la canalizzazione ed il contenimento dell’emozione. Ogni genitore capace di accogliere e contenere le emozioni non permette al figlio di percepirsi inadeguato, distruttivo o negativo.
La percezione della disponibilità dei genitori nei confronti delle sue istanze e delle sue richieste rende capace il figlio di valorizzare la coppia genitoriale, valutandone realisticamente limiti e capacità, riuscendo, in tal modo, ad accedere al complesso processo di riconoscimento ed accettazione anche dei propri limiti e delle proprie capacità e potenzialità.
Qual è dunque il senso del conflitto? È una modalità necessaria per elaborare la propria individualità rispetto al modello genitoriale. Il conflitto non va esaltato, non gli va attribuita un’importanza enorme, ma non va neppure negato. È importante consentire al figlio l’esperienza del dissenso, del conflitto, evitando atteggiamenti tipici del “genitore-amico” che, in un’ottica paritetica e di condivisione totale, accetta ogni comportamento filiale, alleandosi con il preadolescente e, di fatto, evitando di agire il suo ruolo genitoriale: attraverso il conflitto, il preadolescente esprime il suo desiderio di crescere, di diventare autonomo e diverso dai genitori, il cui sforzo deve essere quello di considerare il significato che si cela dietro ad ogni comportamento oppositorio e provocatorio, a volte aggressivo, ipercritico, esagerato.
In conclusione, per affrontare l’epoca preadolescenziale dei nostri figli, è necessario sperimentare dentro di sé tolleranza, ascolto empatico, riconoscimento delle istanze del figlio e accettazione dei cambiamenti nella relazione genitori/figlio.
Ciò che deve arrivare al ragazzo è la certezza di essere amato, di essere benvoluto, in una sorta di accettazione aprioristica e totale di ciò che è e rappresenta per noi genitori. In quest’ottica, va collocata la tolleranza nei confronti dei comportamenti che il preadolescente esprime: “riesco a tollerare i tuoi attacchi perché so che tu mi ami. Tu mi stai bene sempre, anche quando sbagli”.
Evitare giudizi, critiche dirette e richieste di essere “perfetti” o diversi, implica da un lato la consapevolezza che anche noi adulti possiamo sbagliare e, dall’altro, che l’errore non rappresenta drammaticamente la rottura del legame, ma un’occasione di confronto dialettico, anche emotivamente forte, in direzione sempre di una crescita comune.
“Non sei tu sbagliato, ma è il tuo comportamento che lo è.”
È importante, da parte della coppia genitoriale, costruire e trovare anche occasioni di ascolto empatico al fine di offrire uno spazio di ascolto privilegiato al preadolescente, del tempo riservato solo per lui nell’idea di permettergli di esprimere il suo mondo emotivo, i suoi vissuti e le sue sensazioni privilegiando la dimensione interiore a quella concreta e quotidiana.
Ad esempio, in risposta ad una comunicazione circa la scuola o gli amici, si potrebbe chiedere: “In quella situazione (a scuola o con gli amici), cosa hai pensato? Cosa hai provato? Come ti sei sentito?”
invece di: “Cosa hai fatto? Come sei andato a scuola? Che voto hai preso? Perché hai preso la nota?”
Diventa essenziale dare spazio all’emotività, ai sentimenti e ai vissuti interiori, consapevoli che in preadolescenza si forma l’identità di una persona e che l’immagine di Sé deve essere il più possibile positiva e ricca di sfaccettature, il prodotto dell’integrazione di vari aspetti della personalità.
Se il ragazzo si sentirà compreso e riconosciuto per ciò che esprime, saprà tollerare meglio il commento e la critica, così come le frustrazioni, manifestando un certo grado di sicurezza e stabilità interiore. La regola educativa, che ha prevalentemente una funzione di contenimento emotivo, così come la punizione, andrebbe applicata attraverso modalità costruttive — spiegandone ogni volta fine e motivazione, come conseguenza di un comportamento non adeguato — prendendo sempre in considerazione anche il dispiacere e la frustrazione che comporterà, tenendo presente che è importante offrire lo spazio per poter riconoscere, esprimere e contenere sentimenti di sofferenza e dolore.
Anche nelle dinamiche tra fratelli, sempre altamente ambivalenti e conflittuali, il genitore non si deve porre nell’ottica di tutelare uno o l’altro dei suoi figli, con la conseguenza di attribuire ruoli stereotipati e fissi di colpevole e vittima, ma dovrebbe impegnarsi per favorire il miglioramento dei rapporti tra fratelli sulla base di un riconoscimento delle cause scatenanti le dinamiche conflittuali offrendo a ciascuno lo spazio per esprimere bisogni ed istanze, evitando contrapposizioni e competizioni su base affettiva.
Per i genitori dei preadolescenti, un aspetto importante da considerare è quello di rimettere la coppia al centro della dinamica familiare ristabilendo nuovi equilibri, nello spazio lasciato libero dal figlio che non è più interessato ad occupare totalmente, così come nell’infanzia. Di fronte ad una coppia genitoriale solida, coesa ed appagata, il figlio è libero di allontanarsi senza percepire come pericoloso e colpevole il proprio distacco, avendo la possibilità di osservare, al contempo, una relazione di coppia che, pur non avendo affatto abdicato al ruolo genitoriale, non lo intrappola al suo interno attraverso meccanismi invischianti e regressivi.