La separazione e le cosiddette “separazioni civili”

25 Luglio , 2012 by

Dott.ssa Fatima Uccellini – Psicologa dell’età evolutiva – Psicodiagnosta – Mediatore Familiare
e Didatta S.I.Me.F.
 

L’espressione “separazione civile”, spesso utilizzata per indicare una
separazione non conflittuale, che mantiene i rapporti tra ex-partner ad un livello
accettabile, anche e soprattutto in funzione della tranquillità dei figli, ha suscitato in
me sempre una sorta di distonia, di perplessità latente.
Infatti, lungi dal pensare che non possano esistere ex-coniugi che hanno
mantenuto un rapporto sereno anche dopo la separazione, in questi casi, generalmente
decisa insieme alla luce di accordi veramente condivisi, credo che il mito della
“separazione civile”, come fine ultimo del processo psicologico di separazione dal
partner, può essere fonte, talvolta, di equivoci e fraintendimenti. Se, infatti, l’idea di
“rapporti civili” equivale, di fatto, solo formalmente, ad un’assenza di conflittualità
esplicita, agìta e manifesta, nella vicenda separativa, una sorta di “congelamento” dei
sentimenti e delle emozioni legate all’evento separativo, non credo che questo debba
essere un obiettivo da perseguire.
All’interno del ciclo vitale della famiglia, la separazione di coppia costituisce
quello che viene definito un “evento paranormativo”, cioè un fatto inatteso, che non
rientra nel normale corso della vita familiare e che, come tale, può essere portatore di
momenti di crisi, disorientamento, sofferenza: tuttavia, con il passare del tempo e,
una volta elaborato il dolore ed il senso di fallimento per la fine del legame di coppia,
emerge sempre di più anche una sana esigenza di riorganizzazione della propria vita e
di quella dei figli.
Le ragioni che portano alla separazione sono molteplici e specifiche di una
situazione, ma spesso, si è visto che dipendono fortemente anche dalla rottura del
cosiddetto “contratto di coppia”, una sorta di patto tra i due partner, quasi sempre
implicito e basato su aspettative più o meno realistiche e proiezioni più o meno
fantastiche sull’altro, che le due persone stipulano inconsciamente al momento di
mettersi insieme, quando si sono innamorati. Nelle dinamiche di separazione, la
delusione delle aspettative sul comportamento dell’altro e il rendersi conto che l’altro
non è come lo si immaginava, sono alla base della conflittualità generata proprio
dalla rabbia e dalla disillusione.
Nella pratica professionale, si osserva spesso che, all’interno delle diverse
dinamiche di coppia in merito alla separazione, la persona che mette in crisi il
rapporto di coppia manifesta in modo più o meno evidente un vissuto di
intollerabilità alla situazione di coppia legato, soprattutto, all’immagine di sè che
l’altro gli rimanda (“non mi piace più come mi vedo, attraverso la relazione con te”),
piuttosto che un senso di intollerabilità nei confronti del partner stesso. Appare
evidente che, chi subisce la decisione di separarsi, si trova in una situazione di
maggiore sofferenza, per una sorta di disparità emotiva connessa al vissuto verso il
legame di coppia e ad un timing diverso in merito al vissuto di intollerabilità.
E’ innegabile, perciò, che la separazione sia intimamente connessa ad un
grande sentimento di perdita, soprattutto da parte di chi subisce la decisione, che
rende la situazione separativa permeata di dolore e di sofferenza: senso di perdita del
partner ma anche, e soprattutto direi, senso di perdita della propria identità, cioè di
quella parte di sè legata all’altro, che l’altro ha strappato via e ha portato con sè per
sempre, andandosene. Da qui, hanno origine quei sentimenti di rabbia, di
risentimento, di rivendicazione e, spesso, di ripicca e di vendetta, che troppe volte,
purtroppo, caratterizzano le vicende separative.
L’aspra conflittualità che, come spesso accade, continua anche per anni,
successivamente ad una separazione legale anche di tipo consensuale, trascinando
dentro meccanismi assurdi e distruttivi tutti i componenti della famiglia, figli, nonni,
parenti ed amici, nessuno escluso, deve necessariamente spingere i professionisti del
settore ad una seria riflessione.
Nella mia esperienza professionale in veste di Mediatore Familiare, infatti, ho
potuto verificare sul campo l’inefficacia e l’inutilità di accordi frettolosi,
standardizzati, scarsamente personalizzati e poco funzionali alla situazione specifica
di quella coppia e di quei figli, conclusi in sede consensuale tra gli ex-partner.
Infatti, accade spesso, che la coppia genitoriale, spinta dai rispettivi avvocati,
ma anche consigliata da amici e parenti o, semplicemente per motivazioni proprie
legate all’idea di poter soffrire meno arrivando ad un accordo in tempi ridotti e senza
eccessi di conflittualità, evitando discussioni e confronti faticosi e dolorosi, si è
trovata ad accettare una separazione “civile”, solo in apparenza serena e emno
problematica.
Non può essere casuale, infatti, che una larga parte delle coppie genitoriali che
si rivolgono al Mediatore Familiare, spesso dopo anni di conflitti irrisolti, hanno alle
spalle proprio separazioni consensuali i cui accordi, evidentemente insoddisfacenti
per una o per entrambe le parti in causa, non hanno tenuto nel tempo provocando
litigi e rivendicazioni senza fine.
Offrendo un ampio spazio di ascolto ai due ex-partner, si scopre, infatti, che la
sofferenza legata alla storia della coppia, ai tradimenti reali o presunti, alle omissioni
dell’uno nei confronti dell’altro, alle aspettative deluse, sono ancora tutte là come se
la rottura del legame risalisse a ieri, intatte anche dopo anni, sentimenti e vissuti che
l’iter legale di separazione non ha dato modo di elaborare emotivamente, non
favorendo, di fatto, quell’auspicabile riorganizzazione costruttiva del futuro di sé e
dei propri figli.
Ed è qui che la Mediazione Familiare interviene caratterizzandosi, da un lato,
proprio come un processo favorente l’elaborazione di quegli aspetti emotivi ancora
attivi che provocano la conflittualità distruttiva, dall’altro come quel contesto elettivo
che offre la possibilità di un recupero, anche se parziale, della propria storia di coppia
passata e, conseguentemente, di quelle parti di sé che appartengono, di fatto, a quel
passato e che vanno riconosciute e recuperate, limitando conseguentemente anche il
senso di perdita e di fallimento.
All’interno del contesto mediativo, la conflittualità che la coppia esprime,
lungi dall’essere sedata o bloccata, viene riconosciuta e utilizzata costruttivamente
dal mediatore che, insieme ai due ex-partner ne ricerca il senso ed il significato,
costruendo, incontro dopo incontro la possibilità per uno scambio dialettico efficace
ed un confronto, spesso, emotivamente e necessariamente molto intenso, finalizzati
a rendere sempre più chiare e sempre più esplicite le richieste reciproche in relazione
agli accordi.

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