”Il mediatore di fronte alle complessità familiari” Convegno Nazionale Simef- Firenze 4/5 ottobre 2013

19 Ottobre , 2013 by

Nella sua relazione introduttiva la Presidente uscente e membro del nuovo Direttivo, dott.ssa Marina Lucardi, ha evidenziato le peculiarità della figura del mediatore familiare che lo rendono diverso da altri professionisti che si occupano di relazioni di aiuto. Il mediatore familiare è “un’identità seconda” poiché è l’unica figura professionale che proviene da background diversi (psicologo, avvocato, assistente sociale…) e ciò, di fatto, rende la sua identità poco certa e stabile, anche grazie all’assenza di leggi che ne regolamentino in modo chiaro e preciso i contorni professionali.
Inoltre, il tema affrontato dal mediatore familiare è il conflitto, considerato con fenomeno normale e fisiologico, non sanzionabile, così come, viceversa, avviene in altri contesti. Infine, come in nessun altro tipo di professione di aiuto, il mediatore, rinunciando alla delega in bianco da parte dei genitori ed utilizzando un approccio paritetico, non asimmetrico, fa del riconoscimento delle competenze un metodo di lavoro, ma anche un obiettivo da perseguire per sé e per la coppia genitoriale all’interno della stanza di mediazione.
Di grande interesse è stato l’evento di apertura del Convegno che ha visto a confronto sul tema delle complessità familiari, punti di vista provenienti da professionalità diverse: il sociologo, dott.ssa Chiara Saraceno, il terapeuta familiare, dott. Dino Mazzei e il giurista, avv. Marina Blasi.
In particolare, la dott.ssa Saraceno ha affrontato il tema dei cambiamenti della famiglia nei modi di percepirsi e di vivere, sottolineando alcuni aspetti di diversificazione “interna” quali l’invecchiamento della popolazione e l’occupazione femminile, e altri riconducibili ad una diversificazione “esterna” come l’incremento delle nascite al di fuori del matrimonio, l’aumento dell’instabilità familiare (aumento divorzi, genitorialità pendolare), il cambiamento dei modelli di filiazione (adozione, fecondazione assistita) e la nascita di famiglie di coppie omosessuali con o senza figli. Il mediatore familiare non può non tenere conto di questo tipo di evoluzione del sistema famiglia, cercando di cogliere non soltanto le eventuali criticità ma anche e soprattutto le risorse intrinseche affettive e generali.
Il dott. Mazzei, direttore dell’Istituto di Terapia Familiare di Siena, nel suo intervento ha trattato il tema delle difficoltà del terapeuta nell’affrontare le complessità familiari. Nella sua riflessione, ha evidenziato una serie di errori in cui potrebbe incorrere chi lavora con famiglie separate e ricomposte, famiglie caratterizzate spesso da un forte senso di riparazione, dalla ricerca di una seconda opportunità e dal desiderio di evitare errori passati. Uno dei rischi per il terapeuta, perciò, è quello rappresentato dalla tendenza alla rassicurazione e al contenimento, colludendo con il desiderio implicito di riduzione della complessità familiare e di “normalizzazione” che la coppia porta. In tal senso, egli potrebbe essere tentato di trasformare in “evolutivo” ogni elemento problematico che la coppia percepisce e porta, non riuscendo a riconoscere i segnali di disagio e di sofferenza. La complessità di queste famiglie rimanda, viceversa, all’idea di trasformazione del nucleo familiare, trasformazione non certo indolore e che necessita di un certo tempo di elaborazione: spesso, invece, si assiste alla tendenza delle persone coinvolte, di passare da “un’appartenenza” ad un’altra, da una famiglia ad un’altra, negando il riconoscimento della complessità di una transizione tanto significativa. Questo tipo di approccio, potrebbe creare una sorta di “sordità emotiva” in merito alla percezione e alla comprensione della sofferenza dell’altro e dei figli stessi.
Infine, l’avv. Marina Blasi, specializzato in diritto di famiglia, membro del Direttivo Nazionale AIAF (Associazione Italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori), co-autore con all’avv. Giulia Sarnari del libro “I matrimoni e le convivenze internazionali” (2013), ha affrontato il tema della complessità della famiglia legata alle diverse legislazioni, ma anche delle usanze e consuetudini particolari dell’istituto del matrimonio e delle convivenze degli stati europei ed extraeuropei. Nel suo excursus tra leggi, riti e significati legati al matrimonio l’avvocato Blasi, in particolare, ha messo in luce la difficoltà da parte dei giuristi ad affrontare situazioni complesse di coppie straniere che vivono in Italia, legate tuttavia, ad usanze e leggi del loro paese. Perciò, appare estremamente complesso spiegare gli intricati rapporti tra la nostra legislazione e quella dei paesi stranieri, laddove, in alcuni casi, il giudice si trova a dover applicare il diritto dello stato di provenienza della coppia straniera piuttosto che quello italiano. Così come risulta difficile confrontarsi con leggi di altri paesi, quali ad esempio quelli islamici, dove la poligamia ed il ripudio della coniuge rientrano nel pieno diritto del marito, ma che non possono essere certamente accettati dalla legislazione italiana. Per capire meglio la complessità delle problematiche da affrontare nel rapporto stato italiano/coppie straniere, basti pensare al riconoscimento di un minore nato da un matrimonio poligamico o al fatto che in alcuni paesi asiatici, ad esempio, come le Filippine, il divorzio non è previsto e la separazione non può essere richiesta per “futili” motivi, quali la fine dell’amore. L’avv. Blasi ha sottolineato come il senso stesso del matrimonio sia completamente diverso da stato a stato (ad esempio, nel diritto islamico il matrimonio è a tutti gli effetti un contratto che ha come corrispettivo delle prestazioni) e quanto questo comporti un’estrema difficoltà a gestire la separazione, il conseguente affidamento dei figli e le questioni economiche ad essa connesse. Appare, perciò, fondamentale per il giurista, ma anche per il mediatore familiare avere una conoscenza delle leggi degli altri stati e dei diversi significati del matrimonio, per riuscire ad affrontare in modo competente ed adeguato, caso per caso, eventuali situazioni che oggi più che mai, con l’aumento dell’immigrazione e delle separazioni di coppie miste o straniere, è sempre meno raro ritrovare nella pratica professionale.
Infine, segnaliamo per la significatività e la chiarezza che caratterizza ogni suo intervento, il contributo del dott. Francesco Canevelli dal titolo “Genitorialità senza coniugalità e separazione”. Egli ha affrontato il tema dei genitori diventati tali senza aver mai realmente convissuto, cioè privi di una storia sentimentale comune e significativa. E’ il caso della genitorialità realizzata come un “agito” che comprende situazioni diverse che vanno dal tipico “incidente” tra adolescenti alla persona matura che vive una relazione occasionale. In altri casi, la genitorialità è vissuta come “legame assoluto”, in assenza di un patto esplicito ma in una sorta di coniugalità iperidealizzata e caratterizzata dal riconoscimento dell’altro solo in quanto genitore. Un altro caso, potrebbe essere rappresentato da coloro i quali, attraverso le tecniche di fecondazione assistita e di ricerca di un figlio al di fuori di qualsiasi relazione sentimentale, vivono la genitorialità come “generatività pura” senza legami. Il dott. Canevelli ha evidenziato come chi riceve la domanda di aiuto, ad esempio il mediatore familiare, debba fare i conti con una serie di pregiudizi personali e professionali in merito ad una genitorialità priva di un legame coniugale. Ad esempio, il mediatore potrebbe essere indotto a reputare che la mancanza di un patto esplicito tra i due genitori, possa costituire un handicap per la negoziazione e che non aver vissuto una storia comune sia un elemento predittivo di non-mediabilità, oppure che la mancanza dell’esperienza di condivisione genitoriale possa limitare, di fatto, la rappresentazione del figlio, ed il riconoscimento dell’altro in quanto genitore. Il dott. Canevelli suggerisce, viceversa, di considerare gli aspetti peculiari di questi genitori, come risorse in mediazione familiare in cui, ad esempio, la mancanza di un patto esplicito può rappresentare più che un deficit, una libertà maggiore per la coppia genitoriale, libertà che potrebbe portare più facilmente a contrarre nuovi patti proprio perché priva di rigidi vincoli precedenti . Così come la mancanza del riconoscimento dell’altro come partner, in assenza di una storia sentimentale o di una convivenza, potrebbe dare più facilmente avvio al processo di riconoscimento reciproco come genitore separato.
E’ bene, perciò, che il mediatore familiare, nell’ottica del superamento del pregiudizio di non-mediabilità a priori, provi ad operare una rinuncia interiore ad ogni categorizzazione o tipizzazione della genitorialità a favore di un lavoro serio e sistematico che valorizzi in queste coppie genitoriali le differenze individuali e metta a confronto le diverse rappresentazioni del figlio al fine di pervenire all’unico obiettivo importante nella genitorialità: considerare l’altro come risorsa per il proprio bambino.
Appare chiaro, in conclusione, come l’assunzione del pregiudizio della “molteplicità genitoriale” rappresenti una dimensione particolarmente idonea a soddisfare i bisogni evolutivi dell’infanzia e dell’adolescenza della nostra epoca.

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